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Intervista a Gerardo D'Ambrosio:La giustizia è servizio pubblico,l’hanno ridotta a un affare privato Stampa
Scritto da Administrator   
mercoledì, 08 febbraio 2006
   13.01.2006

«La storia giudiziaria d’Italia coincide in buona parte con quella professionale di Gerardo D’Ambrosio», disse il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro nel giorno del suo saluto al collega che andava in pensione dopo una vita con la toga indosso. Era il 29 novembre del 2002, e da allora D’Ambrosio ha avuto più tempo per le sue passioni, il mare in primis. «Finalmente ho preso anche una barca - sorride nella sua casa milanese - : quest’anno, poi, sono stato al mare da maggio ad ottobre. Un lungo riposo». Senza però perdere mai di vista la giustizia, quella giustizia della quale ancora oggi parla con la cura che un medico riserverebbe ad un paziente malato. «Un paziente che non è certo migliorato in questi tre anni - spiega D’Ambrosio -. Il grosso male era ed è rappresentato dai tempi di definizione dei processi. E in questa legislatura nulla, assolutamente nulla, è stato fatto per abbreviarli». Eppure, a sentire gli uomini della maggioranza tutte le leggi approvate sono state pensate proprio per snellire i tempi della macchina della giustizia. «A parole, forse. Nella realtà si sono limitati ad accorciare i tempi di prescrizione. Che è una cosa assolutamente folle. È un po’ come se se si dicesse di aver accorciato i tempi di percorrenza di una tratta ferroviaria, quando in realtà ci si è limitati ad obbligare a scendere i viaggiatori allo scadere dell’orario stabilito. Senza il bisogno che il treno arrivasse in stazione però».

 

L’ultima trovata della maggioranza è la legge che ha sancito l’inappellabilità di una sentenza di assoluzione di primo grado. «È una legge assolutamente assurda - taglia corto D’Ambrosio - Innanzitutto perché toglie le parti del processo dal piano di parità dove le aveva volute collocare il nostro legislatore: grazie a questa norma assistiamo all’assurdo per cui una parte può impugnare la sentenza e l’altra no. Ma è un’altra la cosa che devrebbe preoccupare un Paese in cui la criminalità organizzata è diventata talmente arrogante da uccidere un esponente politico come il vicepresidente del consiglio regionale calabrese Fortugno. Pensiamo in che condizioni verranno messi adesso i magistrato che deve giudicare un mafioso sapendo che, non essendoci possibilità di appello, una sua eventuale sentenza di proscioglimento rappresenterebbe l’ultima parola alla vicenda giudiziaria. Pensiamo ai giudici che lavorano nelle zone a più alto rischio criminalità organizzata... questa norma li espone a pressioni fortissime, a ricatti e a ritorsioni pesanti. È la legge più sbagliata che si potesse immaginare in questo momento per l’Italia, è una mazzata per lo sviluppo delle regioni del Sud e alla lotta alla criminalità organizzata».

Secondo la maggioranza, la nuova norma servirà ad accorciare i tempi dei processi e quindi a porre rimedio all’ingolfamento dei tribunali italiani. «In realtà si scaricherà tutto sulla Corte di Cassazione, che si troverà ad affrontare un carico di lavoro assolutamente fuori dalla norma, che richiederà tantissimo tempo prima di essere smaltito». E nel frattempo, la prescrizione si avvicina. Anche grazie alla «ex Cirielli», approvata nel novembre scorso, che da una parte abbrevia i tempi per la prescrizione e dall’altra inasprisce le pene per i recidivi. Un’altra norma duramente contestata dall’opposizione (era detta «Salva previti» prima che un emendamento dell’Udc escludesse di fatto il senatore forzista dai suoi benefici), dal Csm e dagli avvocati penalisti che dal 16 al 18 prossimi sciopereranno. «La giustizia è un servizio pubblico che deve essere reso in tempi spediti - spiega D’Ambrosio - tenendo però conto che nei processi penali ci sono gli imputati, ma ci sono anche le parti lese e un senso di giustizia che sta venendo meno. Quando un reato cade in prescrizione significa che la giustizia si è arresa. E quando una sentenza definitiva arriva troppo tempo dopo il reato, è evidente che non è più una sentenza giusta. Dall’altra parte, invece, in contrasto con qualsiasi principio fondamentale secondo cui non è la gravità ma l’ineluttabilità della pena a scoraggiare la delinquenza, si sono aumentate in maniera considerevole le pene per i recidivi. Una strada che aggraverà anche la situazione carceraria, già oggi insostenibile».

 

Nel frattempo l’unica situazione che si è via via risolta è, guarda caso, quella processuale del presidente del Consiglio. È azzardato, allora, pensare che le sue esigenze abbiano condizionato l’agenda del Parlamento tenendolo per mesi ostaggio? «È sicuramente così. Gli anni di questa legislatura sono stati impegnati esclusivamente all’approvazione di leggi che avevano una incidenza precisa sulla vicenda processuale del premier. Dalle rogatorie al falso in bilancio passando per l’immunità per le alte cariche dello Stato. Se tutte quelle energie fossero state impiegate per riformare alcune parti del processo penale, oggi la situazione poteva essere ben diversa». Ed invece la premura principale della maggioranza è stata quello di approvare una riforma dell’ordinamento giudiziario che oltre ad essere umiliante per i magistrati riporta la giustizia italiana indietro di decenni. «È una riforma evidentemente ispirata da un intento punitivo della magistratura - si fa scuro D’Ambrosio - e soprattutto di quei magistrati che si sono dimostrati indipendenti dal potere esecutivo, esattamente come vuole la nostra Costituzione. Quei magistrati abituati a non fare distinzione fra cittadini di “serie A” e cittadini di “serie B”. Se il centrosinistra dovesse vincere le prossime elezioni e volesse davvero dimostrare di voler cambiare strada, questa riforma è forse la prima legge da rivedere in maniera radicale».

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