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L.Annunziata:visite americane ...non piu' panacea per reputazione. Stampa
Scritto da Administrator   
giovedì, 02 marzo 2006

Stelle e strisce nell'urna
di Lucia Annunziata

 

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E' da molto tempo che le visite in America non sono più una infallibile panacea per le reputazioni politiche europee. Se fino agli Anni Ottanta infatti il viaggio in Usa ha sempre costituito per un leader il riconoscimento indiscutibile di un rafforzamento in patria, è ormai da più di un decennio che l'alleato americano porta con sé almeno tante rogne quanti onori. Complici tutte le cose che conosciamo - la fine del Muro e del multilateralismo, la unificazione dell'Europa e il peso del dominio incontrastato degli Usa - la benedizione americana si è progressivamente rivelata un fardello da portare più che un riconoscimento da ottenere. Valga questo esempio per coloro che in Europa si divisero sulla scelta della guerra in Iraq di Bush padre; ma anche, successivamente, per le controversie che esportò il pur lungo e celebrato governo Clinton, la cui politica in Africa prima (non i bambini con l'Aids, ma la Somalia) e in Kosovo dopo costituirono il bacio della morte per molti governi della sinistra europea.

A iniziare da quello di Massimo D'Alema. Negli anni recenti, infine, in cui la distanza fra le due sponde atlantiche è divenuta un elemento emotivo prima ancora che una strategia, essere alleati con gli americani non è stato più né scontato, né necessariamente apprezzato.

Ma grazie a questo, le relazioni con Washington sono divenute progressivamente anche sempre più vere: smessi gli abiti della concordia abitudinaria, sono diventate elemento di scelta, elemento di affinità politica, e dunque forte elemento personale. Di questo parla il modo in cui la presidenza Bush ha ridisegnato la sua mappa europea. E di questo parlavano ieri a Washington le battute, i sorrisi, le frasi scelte da George Bush e da Silvio Berlusconi, nel tradizionale incontro con la stampa davanti al caminetto. Tutto sottolineava che il loro è l'appuntamento più che di due capi di governo, di due leader che hanno scommesso sulle stesse cose e stanno dalla stessa parte.

 Ai giornalisti che riferivano le dichiarazioni di Prodi sulla visita di Berlusconi, Bush ha risposto con un ironico: «Ci sono delle elezioni in corso?». Difficile immaginare esempio migliore di partigianeria politica. Dov'è andata a finire la tradizionale prudenza politica dei presidenti nei confronti delle competizioni elettorali in Paesi alleati? Una successiva nota dell'Amministrazione spiegava che l'incontro americano non ha valore di appoggio politico per il premier italiano: è servita solo a far risaltare ancora di più la «passione» con cui ha risposto il Presidente. Certo, nemmeno George Bush ha molta sicurezza da aspergere sul capo del suo miglior alleato italiano: ha raccolto proprio in questi giorni il più magro dei suoi livelli di consensi, un esiguo 34 per cento. Tuttavia, le difficoltà di entrambi non necessariamente tolgono forza all'impatto dell'evento. Se la cornice e i contenuti non sono più superistituzionali, se le alleanze fra presidenti sono divenute più forti delle alleanze fra Stati, è sempre vero che la lotta, la partigianeria, la capacità di schierarsi nettamente fanno premio, in epoca di scelte gravi come le nostre, rispetto alla politica delle unanimità ipocrite.

I leader che si incontrano a Washington non sono al massimo del loro successo, e il loro smalto è graffiato in più parti. Ma c'è qualcosa di nobile nella stretta di mano di questi due alleati che negli anni continuano insieme, fino in fondo ai loro momenti peggiori. Persino tra capi di Stato infatti la fedeltà non è dote che si trovi a ogni angolo. Si potrà non amare né l'uno né l'altro, ma l'entusiasmo con cui l'attuale inquilino della Casa Bianca, notoriamente di sangue freddo e salato, riceve in Usa Berlusconi, rimane per il premier italiano - a dispetto di tutte le smentite burocratiche - un ottimo veicolo elettorale per rimotivare la sua parte politica.

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