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Poi a passeggio con Flavia e la nipotina Telefona Crozza: «Che risate!». E confida: «Se ............ Stampa
Scritto da Administrator   
mercoledì, 01 marzo 2006
 
 
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«Se si votasse oggi, Berlusconi a casa»
ROMA - Una signora si avvicina e chiede: «Quando lo mandiamo a casa?». L’oggetto è Berlusconi, ma Romano Prodi sembra svogliato ad affrontare temi politici, dopo la kermesse ulivista, al «Palalottomatica». Risponde con ironia: «Il problema è scegliere quale casa!» ed allude alle numerose magioni possedute dal Cavaliere. Al «Caffè Dolce Vita» di piazza Navona, il Professore pranza con la nipotina Chiara, il figlio Giorgio, la nuora, Veronica e la moglie Flavia. C’è il tempo per quattro chiacchiere lontano dai riflettori, ma non riesce ad evitare l’assalto dei curiosi, malgrado abbia la piazza, immersa in un dolce clima, alle spalle, quasi per nascondersi alla folla. Due turisti, marito e moglie, si presentano, «siamo di Treviso», ripetendo la stessa domanda: «Ci faccia sognare!». Pronta la replica:«Se votassimo oggi, lo manderemmo a casa, nessun dubbio». Non aggiunge che questo è il suo auspicio anche al termine della dura campagna elettorale, ma il sorriso che esprime lo fa capire.

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Piazza Navona è inondata di luce. Arrivano gli stornellatori. Prodi si lascia trascinare dalle melodie, di Mario e Ruggero, che si accompagnano con un mandolino. «Tanto pe’ cantà - sussurra - perché me sento ’n friccico ner còre, tanto pe’ sognà, perchè ner petto me ce naschi ’n fiore, fiore de lillà...». L’atmosfera si riscalda. I cantanti incitano il Professore, ma anche l’amico Angelo Rovati, l’uomo dei conti dell’Unione, che gli sta a fianco, con la compagna, Chiara Boni. «Roma è un inno alla gioia» sbotta Prodi «potersi godere una giornata di febbraio in piazza Navona, con quest’aria che sa di primavera, è un sogno. E’ solo a Roma». E la memoria corre alle polemiche scaturite per la sua ritrosia a frequentare i salotti della Capitale. Spiega: «Da sempre Roma mi piace moltissimo. Le mie parole erano tutt’altro che un mancato apprezzamento. Ma si è cercato di strumentalizzarle, semplicemente per fini elettorali». Un artista dalla pelle nera gli fa arrivare un lungo sigaro cubano, riceve e ringrazia. Chiama sul cellulare il comico Crozza,«stupendo, quanto mi ha fatto ridere!».
Prodi e famiglia camminano a piedi, la piccola Chiara in spalla a Rovati, itinerario sui selciati fin dal mattino (San Pietro, caffè e gelato a borgo Pio, ma senza visite a cardinali), poi nelle strade del centro. Osserva i palazzi carichi di storia. Passa davanti alla Camera, a Palazzo Chigi (nessun commento sull’inquilino, ma sui colori degli intonaci, gli piacevano quelli classici e caldi, non il bianco). Alza gli occhi, scruta i profili e riprende il sorriso per esprimere stupore. Una bellezza continua. Puntualizza: «Da un bel po’ di tempo stiamo ragionando, insieme al sindaco Veltroni, su un piano specifico per valorizzare ancora di più Roma. Come Roma merita».
Il telefonino è sempre caldo. Il discorso ricade sull’attualità. In mattinata, ha dovuto risolvere un’altra questione. Di Pietro ha minacciato di andarsene. «Ma le liste sono state presentate, questo è il risultato», chiosa. Sottolinea però di aver fatto «sacrifici» per aver messo a disposizione «candidature a me riferite, per il bene della coalizione». Non parla dei casi Santagata o De Castro, ovvero di uomini a lui vicini, esclusi dalle liste dei partiti. Quando si arriva nei pressi di piazza di Spagna ritorna nel passato, alla «guerra» fra due illustri architetti, Borromini e Bernini. «Che cosa si son fatti!», e sorride.

 

 


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